lunedì 7 ottobre 2013

Tattoo Jitsu


"I have no tattoos, but I have scars, and those I will bring to my grave; those are my medals"."Non ho tatuaggi ma ho cicatrici e le porterò nella tomba, quelle sono le mie medaglie". Renzo Gracie

L’uso di decorare il corpo è molto antico. La loro origine si perde nella notte dei tempi. L'essere umano ha “marchiato” deliberatamente il proprio corpo in modo permanente  per un’infinità di motivi: economici, politici, militari, sociali, religiosi, estetici, sessuali, simbolici. Anche il variegato mondo delle MMA e del Jiu-Jitsu Brasiliano si sta colorando dei più eterogenei tatuaggi non discostandosi dal trend di costume che, a partire dagli anni 90, ha vissuto  un vero e proprio boom.


Centoventi milioni di persone nel mondo hanno un tatuaggio, il 15 per cento degli adulti e il 30 per cento dei più giovani. La passione dilagante per il tatuaggio negli States ha raggiunto livelli da primato: Il 24% della popolazione tra i diciotto e i cinquant'anni ne ha almeno uno. Anche in Italia non scherziamo e ci portiamo a casa il primo premio tra le nazioni europee per numero di tatuati in rapporto alla popolazione.


In un mondo sempre più governato da immagini e guidato dall'idea di apparenza, la nostra cultura, dice lo psichiatra brasiliano Jurandir Freire Costa , è una cultura somatica. Gli fa eco l'antropologo e sociologo francese David Le Breton il quale afferma che il corpo è ora una dichiarazione personale, un alter ego, un altro se stesso, e questo in un modo così intenso che l'interiorità del soggetto sarebbe in realtà più allocata nella sua esteriorità. Il continuo adeguamento alle norme estetiche attualmente richiede uno sforzo continuo a lavorare su se stessi - il bodybuilding, l'ossessione per le diete, il crescente utilizzo di interventi medici, le metamorfosi estetiche del corpo e l'artificialità di questo sforzo ne sarebbero i sintomi.
 
"Oggi sono tutti uguali nessuno spicca in modo particolare, basta vedere i tatuaggi. Ce l'hanno tutti, e' una società' omologata". Come il mondo del calcio "uno specchio perfetto del costume" dove tutti sfoggiano lo stesso ciuffo "come se ti facesse 'guerriero'" queste alcune considerazioni del regista Carlo Verdone da sempre acuto osservatore delle mode degli italiani. In controtendenza, però, la società di calcio del Real Madrid oggi proibisce ai calciatori di tatuarsi, previo permesso dei dirigenti. Il motivo? Troppi calciatori con troppi tatuaggi.

Francesco Merlo in un articolo su Repubblica, a proposito dell'onda dilagante del tatuaggio in Italia, così scrive: "Basta una passeggiata su un litorale affollato per capire che l’Italia è il paese dei corpi manomessi, della presunta body art di massa, del falso come antidoto al veleno del vero". A questa considerazione potremo trovare una chiusa con le parole di Lino Patruno della Gazzetta del Mezzogiorno:"Diciamo una nuova forma di bellezza ai limiti della bruttezza, in linea con tempi in cui la bruttezza è la parola d’ordine nel linguaggio, nei gesti, nei comportamenti, nei gusti, nei sentimenti, nella vita quotidiana.".

Che quella del tatuaggio sia oggi una moda ce lo conferma anche Clod The Ripper, di professione tatuatore :"Quando ho iniziato era l’era del tribale, poi c’è stato il delfino, il geco e le scritte giapponesi. Oggi sono tutti tatuati", ma, paradossalmente, ce lo conferma anche il  proliferare di centri per la loro rimozione col laser. Si calcola che quasi un quarto del totale di chi ha effettuato un tatuaggio nell’anno precedente ci ripensa e si rivolge a centri specializzati per ricorrere alla loro rimozione. Un bilancio che sembra destinato a crescere ulteriormente nei prossimi anni.

Secondo i dati diffusi all'Eadv (European Academy of Dermatology and Venereology), il 30 per cento di chi ha un tatuaggio, oggi, sta meditando di eliminarlo. "Da noi in ambulatorio ne arrivano moltissimi per i motivi più disparati. C'è chi deve fare un concorso nelle forze dell'ordine o in una compagnia aerea, dove non sono accettati, o vuole cancellare il nome dell'ex partner, o una frase in cui non si riconosce più. C'è chi ha fatto una carriera inaspettata, manager o medici, e non vogliono mostrare il tatuaggio per evitare pregiudizi, poi c'è chi l'ha fatto da giovane e invecchiando, con la pelle che cede, lo vede slabbrato. E infine c'è chi vuole cancellarne uno per farne un altro". Norma Cameli, responsabile dell'ambulatorio di Dermatologia estetica dell'ospedale San Gallicano di Roma.

Tatuarsi non sembra una pratica esente da rischi, d'altronde la nostra epidermide è costituita da  cellule vive: "I processi biologici coinvolti sono molti e possono portare a infezioni e reazioni croniche, allergie, e seppur raramente, a neoplasie. Inoltre i pigmenti vengono comprati spesso oltre frontiera, senza alcuna sicurezza. Il 10 per cento degli inchiostri, abbiamo scoperto ad esempio, contiene stafilococco, batteri dei coli e streptococchi che possono provocare infezioni anche gravi, come la Mrsa e la Vtec"Jorgen Serup, dermatologo dell'università Bispebjerg di Copenhagen

 "Oltre ai rischi già noti di infezioni ed epatiti c'è la possibilità di avere un granuloma, una reazione lichenoide o uno pseudolinfoma allergico da tatuaggio. I rischi sono legati soprattutto a strumenti non sterili e ad ambienti non adatti igienicamente, oltre ai pigmenti, talvolta di dubbia provenienza, con contaminanti e addirittura inadatti ad essere iniettati sotto pelle". Norma Cameli


Nonostante i rischi, per molti il tatuaggio rappresenta sia l'espressione di un bisogno di appartenenza che di affermazione di diversità: la perfetta sintesi della contraddizione che vede molti desiderosi di rimanere unici senza rimanere soli. Questo emergerebbe da uno studio pubblicato dalla rivista Iter Treccani secondo cui i giovani con i tatuaggi cercano di affermare una propria identità' per riuscire a distinguersi dalla massa. Tutti però restano prigionieri di un anticonformismo di massa che anche nel momento della trasgressione li vede comunque omologati. 

Le contraddizioni però non finisco qui: I ragazzi oggi si tatuano come, abbiamo detto, per anticonformismo, rifiuto dell'omologazione e ribellione. Ma il tatuaggio è nato come rispetto della tradizione e segno di appartenenza a un gruppo. Omologazione, quindi.


Tatuarsi rappresenterebbe oggi uno strumento per uscire dall'anonimato in una società sempre più affollata, un tentativo di voler affermare il proprio essere rendendolo più visibile e interessante. Mi domando se i tatuaggi non abbiano anche il compito di dirottare altrove la curiosità e l'invadenza altrui, un'abile mossa di mimetismo come i camaleonti che cambiano colore per evitare di diventare delle prede. 

Nel saggio "Il tatuaggio" di Sebastiano Fiume e M.C. Di Paolo si legge."A mano a mano che i popoli progrediscono verso la civiltà hanno una tendenza all'affermazione individuale e cessano di tatuarsi". Oggi nel mondo tribale, che cerca di uscire dal suo status ARCAICO, molti giovani  rigettano questi segni distintivi del loro passato, mentre da noi si segue un percorso inverso: si guarda a queste culture tribali e se ne assorbono le forme più superficiali e semplici come i tatuaggi così come le forme di modificazione e mutilazione del corpo.

Scrive Luisa Gnocchi Ruscone, antropologa esperta di tatuaggi:“Il vero tatuaggio primordiale è quello TRIBALE in cui ognuno di essi ha un significato ben preciso, un tattoo che può essere inciso solo ed esclusivamente a certe persone ed in determinate circostanze e applicato durante riti o cerimonie a cui partecipa tutta la collettività. Un messaggio sociale attraverso il quale l’individuo comunica “qualcosa di sé”, il suo ruolo, il suo rango, il suo stato civile, il mestiere, chi si è distinto per coraggio o destrezza in guerra o in caccia. Nel Borneo durante il rito di passaggio dall’infanzia all’età adulta i ragazzi erano sottoposti a dure prove di coraggio (bijalai) basate sulla sopportazione del dolore e della fatica. Venivano successivamente mandati soli nella giungla per qualche settimana e dopo avere dimostrato di essere capaci di sopravvivere autonomamente diventavano adulti e acquisivano il diritto a tatuarsi". Come vedete il tatuaggio tribale segue rigide regole e significati e non era appannaggio di tutti.


Se la storia della civiltà umana seguisse un percorso ciclico, il ritorno a pratiche tribali e ancestrali, come il tatuaggio, potrebbe essere oggi o un segno della sua decadenza o al contrario rappresentare un segnale di una sua rinascita. Diciamo che la fuori i segnali non sono poi così incoraggianti per credere a questa seconda ipotesi.

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