venerdì 11 agosto 2017

Gioco e agonismo

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I bambini amano molto le sfide perché sono occasioni per misurare il proprio valore. Il desiderio di competizione e di agonismo rappresenta un impulso positivo purché finalizzato alla conoscenza di se stessi, degli altri e dell'ambiente. Questo "agonismo" deve essere correttamente educato perché il bambino non incorra in forme esasperate di egocentrismo o di vittimismo che rivelano solo una scorretta percezione di sé.


Nel gioco dei bambini l’agonismo è già presente non c'è bisogno di aumentarlo con le competizioni quindi è meglio evitare o centellinare lo sport agonistico prima dei 10/12 anni, poiché nell’età infantile un’eccessiva competizione rischia di procurare carichi di stress e trasformare la voglia di divertirsi in ansia da prestazione.

I bambini non hanno la capacità di dare alla sconfitta o alla vittoria il giusto peso, si identificano con il risultato: se perdono, perdono autostima, se vincono, possono sopravvalutare le proprie capacità.  

Nelle prime fasi dell’età evolutiva l'agonismo può esporre i più giovani a delusioni, mortificazioni e umiliazioni ed essere più fonte di  problemi psicologici, insicurezze e nevrosi che strumento di crescita e socializzazione.

Gli abbandoni nello sport in età evolutiva sono quasi sempre determinati da una perdita di piacere nello svolgere l'attività sportiva, poiché privata della componente ludica o segnata da esperienze negative che possono generare sentimenti aggressivi che possono rivolgersi internamente o verso l’esterno.

Gli studi degli ultimi decenni hanno acclarato che bambini e adolescenti non sono “piccoli adulti”, e che il “gioco” è l'elemento centrale in qualsiasi sport.

 All’inizio si deve far giocare il bambino allo sport  e non fargli praticare lo sport. Gli allenamenti devono essere divertenti, interessanti, didatticamente validi, con obiettivi legati all’età e al livello di maturazione di ciascuno.

Nel 1985, il dottor Benjamin Bloom ha condotto una ricerca in cui ha studiato per diversi anni come si era sviluppato il talento di un gruppo di 120 atleti di alto livello ed ha evidenziato che nella fase iniziale della loro carriera sportiva ciò che risultava dominante era la componente ludica dell’attività che in tal modo aveva consentito di mantenere livelli di motivazione elevati nello svolgimento dello sport scelto. 

Uno studio condotto nel 2014 presso la George Washington University dalla psicologa Amanda Visik ha concluso che il 90% dei bambini partecipa principalmente allo sport perché è divertente. Durante lo studio  fu chiesto ai bambini di definire il divertimento. Di 81 caratteristiche, la vittoria si era piazzata al numero "48", mentre altri temi competitivi come "giocare nei tornei" e "guadagnare medaglie o trofei" al numero "60".

In Italia oggi solo il 10% della popolazione adulta svolge un’attività sportiva regolare contro l'80% dei bambini in età pre-puberale, ma verso i 14 anni  la metà di loro abbandona. Cosa succede? Il fenomeno, denominato “drop out” ha diverse cause e tra queste in testa si posiziona il precoce avviamento all'agonismo seguito dal venire meno di divertimento e motivazioni.

fonte.

Adelia Lucattini - Sport bambini: l'agonismo fa male?
Dino Giovannini e Laura Savoia - Psicologia dello sport
Maurizio Mondoni - Il perché dell'abbandono sportivo
Giuseppe Bertagna Scuola in movimento: la pedagogia e la didattica delle scienze motorie
Alberto Cei - Lo psicologo dello sport nell’attività giovanile del calcio





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