Rientro in palestra dopo un mese passato a combattere con influenza e raffreddori. Le premesse c'erano tutte per una serata di lotta in tono minore ed invece ho provato, facendo sparring, una sensazione mai provata prima, una sensazione di profonda calma interiore. Ogni movimento era eseguito al momento giusto e con la necessaria energia, la mente era com se fosse estraniata, davanti a me non avevo una persona, un avversario ma un "problema" da risolvere.
Durante la lotta non era coinvolta la mia emotività e a fine lezione avevo come la sensazione che i miei compagni fossero meno forti, quasi che mi avessero lasciato fare. Riflettendoci sopra sono arrivato alla conclusione che lottando senza aspettative di vittoria, di ben fare o ben figurare, senza la preoccupazione di cercare ad ogni costo la finalizzazione è come se avessi reso più libera la mente, una mente vuota, in grado di cogliere ogni aspetto del combattimento; mi sono così trovato come assorbito in uno stato di "assenza cosciente".
Mi sono tornate in mente le parole di Rickson : "flow with the go"e l'ammonimento: lascia il tuo ego alla porta. Per quanto coscientemente uno cerchi di entrare nel "flusso" o spogliarsi, oltre che dei vestiti, del proprio ego, prima di indossare il gi,credo che occorrono anni prima che un atleta possa provare questa sensazione.
Ero sicuro di aver sentito atleti affermare di aver provato questo "stato" che gli aveva permesso di esprimere performance di alto livello. Alla fine ho scoperto il termine con cui viene chiamata questa sensazione. Entrare nella "zona" o "stato di flusso" o ancora "flusso di coscienza" sono tutti sinonimi per indicare questo stato di grazia.
Sono convinto che grandi campioni come Fedor, Roger e Garcia, che salgono sul ring o sul tatami senza mostrare segni di preoccupazione, ma solo una grande calma e concentrazione, riescano a raggiungere questo stato di "grazia" anche in situazioni di stress come può essere una competizione. E' quindi possibile entrare in questo stato di coscienza volontariamente?
ciao Max,
RispondiEliminabellissimo post,molto interessante;
purtroppo non mi è mai capitato di entrare in questo stato sul tatami,troppo pronunciato il mio "maledetto"ego che non riesco,nonostante tutti gli sforzi,a lasciare fuori dalla palestra...uno scoglio che non riesco a superare;
ma mi ricordo di quando ero un canoista d'alto corso,e di come, dopo una discesa mattutina del Vara veramente "da paura" tanto era il livello,in piena botta adrenalinica decido,nonostante sono a pezzi,di seguire il gruppo e gettarmi in mare a Levanto;
è in corso una mareggiata che solo a guardare le onde veniva il mal di mare...quando tocco l'acqua penso "ora me ne sto tranquillo sulla seconda rottura d'onda per un 15 minuti,tanto per salvare la faccia,e poi saluto tutti"...
beh!dopo 10 minuti che tento inutilmente di prendere un pò di largo per passare il primo point break,l'onda ciclica mi becca "di traverso" e mi trita fino a sbattermi sulla spiaggia ...io non so chi è riemerso dopo quegli eskimi ripetuti..so solo che la stanchezza era sparita insieme alla paura e al "Massimo non allontanarti troppo perchè non hai più energie"...lì è iniziata una delle giornate più belle che mi ricordo..ero permeato di una calma che definirei non-umana;
ero entrato in uno stato di coscienza "diverso".
Scendevo sul verde delle onde con "spin" ripetuti,appena entravo nel bianco ci sparavo serie di cartwheel a 90°...ancora adesso a ripensarci, non so cosa sia successo,una sensazione meravigliosa ero una cosa unica con il kayak,col mare,con le onde..niente fatica,niente pensieri,niente idee sulle tecniche da tirare o sul fiato che mancava,non vedevo neanche gli altri canoisti e surfisti...i giri entravano così da soli,non c'era distinzione tra pensiero e azione..entrai in acqua che pioveva,uscii per ultimo verso le 4-4 e mezza con i raggi di sole che facevano capolino tra le nuvole..mentre mi cambiavo sotto un tramonto che era diventato spettacolare sentivo le pacche sulle spalle degli altri e il loro saluto...non mi sono mai sentito tanto vicino a Dio come quel pomeriggio.
Grazie Massimo per il tuo commento. Una bella storia quella che hai raccontato e che mi ha fatto vivere quel tuo "pomeriggio da leone".
RispondiEliminaVedrai che con la pazienza e la costanza negli allenamenti anche nel jiu-jitsu proverai quella sensazione che ti ripaga di anni di sacrifici.
Sono convinto che nel momento in cui non si guarda più il proprio avversario come una persona ma piuttosto come un qualsiasi fenomeno della natura che si manifesta come movimento, e contro il quale ci confrontiamo senza mettere in gioca il nostro ego ma solo le nostre abilità e conoscenze si è raggiunto un traguardo non da poco. A presto in quel di Spezia.