Negli ultimi anni, l’approccio non lineare all’apprendimento motorio (CLA – Constraints-Led Approach) ha rappresentato una ventata d’aria fresca per chi, da tempo, metteva in discussione l’efficacia
dell’insegnamento prescrittivo e top-down.
Il CLA ha dato nuova linfa alla pratica sportiva, ponendo enfasi sull’esplorazione, sull'adattamento e sulla percezione del contesto da parte dell’atleta. Tuttavia, come spesso accade, l’entusiasmo ha iniziato a mutare forma: ciò che era un’alternativa metodologica fertile si è trasformato per alcuni in un dogma.
Questi “neo-convertiti” del CLA si muovono oggi nel panorama dell’insegnamento sportivo con un tono da crociati, più interessati a demolire il linguaggio e le pratiche altrui che a costruire un confronto profondo e dialettico. Ironizzano su chi usa ancora termini tecnici descrittivi come knee cut, torreando, leg drag, considerandoli reliquie di un’epoca superata, come se l’adozione del nuovo paradigma annullasse la validità di ogni altro strumento concettuale. Il meme diventa la spada, la caption ironica il versetto del nuovo vangelo motorio.
Ma qui si cade in una trappola tanto antica quanto comune: quella dell’identificazione ideologica. Un conto è aderire a un approccio perché lo si ritiene efficace, un altro è sentirsi moralmente o intellettualmente superiori per averlo fatto. Alcuni coach sembrano aver dimenticato che il CLA nasce per ampliare la libertà d’espressione motoria, non per uniformarla sotto nuove etichette. Sostituire “Toreando pass” con “get to the knee line” può avere senso in una cornice di apprendimento basato sull’intento e sulla percezione, ma non per questo chi usa il primo termine sta automaticamente sabotando lo sviluppo degli atleti.
Il rischio è che si cada in una nuova forma di prescrittivismo: non più fatto di gesti tecnici codificati, ma di linguaggio ideologico imposto, dove si disprezza chi non abbandona completamente il lessico “tradizionale”. Ciò che era nato per rifiutare la rigidità si irrigidisce in una nuova ortodossia, spesso più attenta a come si parla che a cosa si fa in campo.
Il CLA è uno strumento potente ma se usato per costruire barriere identitarie invece che ponti epistemologici, finisce per perdere la sua stessa essenza: l’apertura alla complessità, all’adattamento e alla variabilità.
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In recent years, the Constraints-Led Approach (CLA) has gained traction as a refreshing alternative to traditional top-down, prescriptive teaching methods in skill acquisition.
CLA emphasizes exploration, adaptability, and perceptual attunement. For many coaches, it has opened new doors. But for some, it’s become a pulpit.
Enter the newly converted CLA evangelists—coaches who don’t just practice the approach but preach it with a zeal bordering on religious fervor. Their mission? To save the uninitiated from the “sins” of traditional coaching vocabulary. Out go terms like torreando, knee cut, or leg drag. In come reformulations like “move the feet away, get to the hip line with one leg in between.” And woe to those who dare speak the old language.
This shift is increasingly visible online, where memes have become scripture and sarcasm the sermon. Anyone who dares use conventional technical terms is branded as outdated, unenlightened, or worse prescriptive. But in doing so, these zealots forget a fundamental truth: the CLA was never about erasing knowledge, but expanding possibilities.
Ironically, some of these modern missionaries now display the same rigidity they claim to oppose. In rejecting the constraints of old-school instruction, they impose new ones ideological rather than technical. They don’t just promote the CLA; they weaponize it. The message is clear: if you’re not speaking our language, you’re not truly coaching.
CLA’s power lies in its flexibility, its embrace of context, and its invitation to co-adapt with the environment. When it becomes a dogma, it loses the very openness it was designed to foster. The goal should be dialogue, not doctrine.
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