giovedì 1 settembre 2016

Il Jiu-Jitsu aumenta il nostro ego?



Traduzione e riduzione di uno scritto di Christophe 'Pank' Levy pubblicato da bjjee.

"Per quanto riguarda l'ego ho una definizione che è legata alla spiritualità e alla filosofia delle arti marziali. L'ego è la parte illusoria del nostro essere, che sembra identificarsi con noi stessi, è alimentato dal 'fare' e dall' 'avere' e nasconde il nostro vero "essere".


La via di alcune arti marziali (perché molte altre sono molto egoistiche) sottolinea la necessità di liberarsi del proprio ego (Musashi Hogakure, Deshimaru ...). In termini assoluti, non possiamo completamente separarci dal nostro "Io", è solo che nel mio percorso nelle arti marziali sono stato così ingenuo da credere che questo fosse l'obiettivo finale. Perché? Perché la frase "Io sono il migliore", quando si raggiunge una certa età, a meno che non si è completamente concentrato sul illusione dell'ego, avrebbe dovuto del tutto scomparire. 

Allo stesso tempo, diamo un'occhiata all'origine del nostro amato BJJ. Helio Gracie era completamente egoista, quando, poco prima di morire, disse che suo figlio Rickson non era poi così bravo come tutti dicevano. Come dimostrare che il Jiu-Jitsu è il più potente sistema di combattimento? Mettere su una famiglia come un clan di combattenti, che si sono dedicati alla diffusione dell'arte, può essere visto come una manifestazione di estremo narcisismo.

Rickson, nel documentario Choke, credo abbia detto che era pronto a morire sul ring e che non si sarebbe mai arreso in un combattimento. In un mondo ideale delle arti marziali questo è bellissimo, direi nobile, ma ancora una volta è completamente egoista. Non viviamo in un tempo di guerra e la perdita di una vita non aiuto o salva nessuno. E' solo per non dover arrendersi... ma arrendersi a cosa? L'ego, l'illusione di essere imbattibile o "non-finalizzabile" oppure .... (aggiungete quello che vi pare).

Tutti noi possiamo vedere che quando si vince una gara o una lotta  dura in accademia, viene lusingata (talvolta inconsapevolmente) la nostra persona, la nostra tecnica, ecc, ma quando si perde è un'altra storia.

Battere, arrendesi è come un tabù. Mi ricordo di una discussione con una cintura nera 5 ° grado di BJJ che stimo molto. Mi disse che battevo troppo velocemente in accademia (e per estensione in competizioni). Gli dissi che non era importante - l'altro mi ha battuto questa volta, mi fermo e ricomincio. Per lui questo non era accettabile. Mi sorprese la sua risposta perché avevo sempre pensato che fosse meglio non forzare e rischiare una lesione, ma invece continuare attraverso la sconfitta e migliorare, piuttosto che superare il limite e dover stare una settimana o due fuori dal tatami per essermi ferito.

Inoltre c'è una cosa che ancora non capisco quando guardo un combattimento: quando un compagno di allenamento chiude una sottomissione e ci sono tra 5 e 10 secondi nei quali  l'avversario è bloccato, non si muove. A questo punto alza la mano per battere, ma attende, come se improvvisamente il compagno decidesse di interrompere la sottomissione. Questi piccoli tempi di attesa, sono le meraviglie dell'ego.

No, signore e signori, non siamo guerrieri più grandi se ci addormentiamo o ci facciamo rompere le braccia quando non si può più sfuggire e abbiamo la possibilità di dire stop. Il tatami, il ring, la gabbia, non sono una guerra o una rissa di strada. L'orgoglio del combattente, a questo punto, è solo il velo della sua arroganza.

Il Jiu-Jitsu la Luta Livre e, per estensione, tutti gli sport di sottomissione, ci possono portare a sviluppare l'ego piuttosto che a tagliarlo fuori: non vogliamo combattere alcuni avversari, perché sappiamo che ci possono battere, o perché siamo fuori forma;siamo orgogliosi di aver resistito e forse di non essere stati sottomessi, ma abbiamo un braccio rotto; mettiamo in mostra le nostre cinture e le nostre  medaglie, piuttosto che i nostri valori umani, ma la cosa più divertente di tutta questa storia è che vogliamo sottolineare la nostra umiltà.

Questa virtù nel contesto delle arti marziali è possibile, se si incomincia a smettere di credere, o ad identificarsi, con l'immagine che vogliamo dare agli altri praticanti (e, probabilmente, a noi stessi) e andiamo a cercare le nostre ombre, le nostre paure, le nostre debolezze che incontriamo ogni giorno sul tappeto. 

Il nostro modo di essere ogni giorno sul tappeto, è il nostro modo di dire 'io sono autentico', i nostri fallimenti, le nostre tensioni, frustrazioni durante questo tempo, ci permettono di raggiungere il nostro pieno potenziale e di diventare praticanti di arti marziali illuminati in un infinito percorso di 'vera conoscenza'."

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