La locuzione latina "frangar, non
flectar", tradotta letteralmente, significa "mi spezzerò,
ma non mi piegherò". Sta ad indicare lo stato d'animo di chi non
si piega alle prepotenze della vita e piuttosto paga lo scotto di
spezzarsi.
A chi invece si presenta in una
palestra di Jiu-Jitsu (parola che tradotta dalla lingua giapponese
significa "arte della cedevolezza") si insegna che la frase
deve essere modificata in "flectar ne frangar", "mi
piegherò per non essere spezzato".
Ogni praticante si dibatte in questo
amletico dubbio, una perenna lotta tra il rischio di spezzarsi e la
difficoltà di imparare a piegarsi, cosa che spesso viene fraintesa
con la parola cedere, ovvero arrendersi.
Ci hanno insegnato che di
fronte al nemico non si cede, non si indietreggia, i problemi vanno
affrontati di petto perché è la cosa più facile, la cosa più
difficile è apprendere, non solo razionalmente, ma anche a livello
corporale ed emozionale, che irrigidirsi di fronte alle asperità
della vita non è sempre la cosa migliore.
Un allievo alle prime armi, difronte
all'esperienza della lotta, tenderà ad irrigidirsi, a opporre una
strenua resistenza sopperendo alla tecnica con la forza che di fronte ad un praticante esperto si trasforma ben presto
in forza della disperazione. E' un passaggio obbligato ma sta
all'allievo attraversare indenne questa prima fase e accettare l'idea
che di fronte ad un avversario la rigidità non è la migliore arma
da usare.
Con le ore di allenamento il praticante ben
presto si rende conto che il motto che ora sta seguendo è il
secondo, il suo percorso non è privo di ostacoli si tratta di
smussare i propri spigoli, le asperità del proprio modo di
esprimersi col corpo, di ridurre le situazioni di attrito, in una
parola cercare di percorrere il percorso inverso dei matematici che
hanno cercato la quadratura del cerchio, si tratterà di cercare la
cerchiatura del quadrato.
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