Storicamente il rispetto ha a che fare con l’autorità, è un legame di sudditanza che incatena un suddito al suo sovrano. «È una forma di rispetto verticale, gerarchico, che vede nell’autorità una fonte di forza che viene riconosciuta". Queste le parole del filosofo Roberto Mordacci.
Questa forma di "rispetto" la ritroviamo anche nelle accademie di arti marziali. E' retaggio del Giappone feudale, dove il Samurai era un fedele servitore del suo Daimyo. Nei Dojo di arti marziali a queste figure si sono sostituite quelle di maestro e allievo, ma questa è una forma di rispetto imposta e non sentita.
Sul rispetto in ambito sportivo sempre Roberto Mordacci, scrive:"In ambito sportivo rispetto significa riconoscere la forza dell’avversario: mi misuro con l’altro perché ha una forza che mi si oppone e che potrebbe arrivare al punto di soverchiarmi. Qui il rispetto non scaturisce dal riconoscere l’altro come uomo, dalla sua dignità, almeno in prima istanza, bensì dal riconoscimento della forza altrui".
Chi insegna a dare importanza solo a coppe e medaglie sarà condizionato solo da questa forma limitata di rispetto. Chi intende il rispetto come sinonimo di forza sarà rispettato solo fino a quando potrà imporre la sua autorità ai suoi allievi e ai suoi avversari.
Il rispetto, all'interno di un'accademia, si può pretendere anche instaurando relazioni di scambio. Coloro che ricevono una cintura, ad esempio, psicologicamente diventano debitori: devono dare qualcosa in cambio. Questo tipo di rispetto ha più a che fare con una concezione del dare e avere, ma il rispetto non è una merce di scambio.
Concludiamo questo breve excursus sul concetto di rispetto con le parole dello psicologo Bert Hellinger:
"Se abbiamo bisogno l’uno dell’altro e vogliamo qualcosa l’uno
dall’altro possiamo rispettarci senza che l’uno voglia nulla dall’altro.
Se viceversa impediamo lo sviluppo in noi e negli altri, allora il
rispetto non ci avvicina ma ci allontana. Allora rispettiamo che ognuno
può e deve andare per la propria strada".