martedì 2 aprile 2013

Elogio della sconfitta




"Lo sport muove enormi cifre di denaro, mette in moto enormi interessi e genera conseguenze non certo irrilevanti: la spettacolarizzazione esasperata e il ricorso al doping ne sono una testimonianza". [2]

"Ma è quella ottenuta con l’inganno la vera vittoria? O non è anch’essa un’illusione destinata a lasciare solo frustrazione e senso d’impotenza?  Il male maggiore, il grande nemico dello sport, è oggi l’esasperazione della dimensione competitiva. Il peso di cui si è caricata la vittoria, e quindi la sconfitta, in termini d’immagine e di denaro, è divenuto sempre maggiore". [1]

"Del resto il messaggio della vittoria ad ogni costo è vivo ad ogni livello, perché presente nella società prima ancora che nello sport. I bambini lo recepiscono sin dalla tenera età, bombardati da personaggi presentati loro dai media come sempre vincenti. Una volta creato il mito, l’idolo, la corsa all’egocentrismo, all’affermazione incontrollata di sé, è aperta, sin dall’infanzia. Se poi questo mito è sportivo, l’interesse rischia di riassumersi tutto esclusivamente in un interesse per la vittoria, anziché primariamente per la pratica sportiva, creando o un pericoloso disadattamento o un abbandono precoce". [2]

"Se la vittoria è l’unica ragione di esistere per lo sport bisogna essere pronti a sacrificare per essa qualsiasi cosa. Dunque non solo la giovinezza di un ragazzo, le sue amicizie, il suo tempo libero, i suoi sogni, ma anche la sua salute morale e la sua salute fisica, giungendo al paradosso di nuocere al corpo attraverso uno strumento, lo sport, deputato a migliorare il corpo dell’atleta".  [1]

Alla cultura della vittoria così esasperata si associa il rifiuto verso i propri limiti fisici visti come ostacolo al raggiungimento degli obiettivi prefissati.  "La mancanza di una cultura del limite, l’imperativo del “no –limits” così diffuso, fa sì che l’attività sportiva imponga la sottomissione del corpo al diktat della prestazione, all’imperativo del rendimento e dell’efficacia quantitativamente misurabili, realizzando l’unico obiettivo oggi perseguibile: vincere, un obiettivo che, lo si può constatare, si trasferisce dal mondo dello sport alla realtà quotidiana con l’imposizione ad essere vincente in qualunque situazione come habitus indispensabile in una realtà sociale segnata dal raggiungimento della “prestazione”. 

"Lo sport perde la sua prerogativa di terreno in cui la sconfitta è accettabile, in cui l’insicurezza, la paura di perdere, insita in ogni essere umano, è affrontata in ambiente protetto. La sconfitta non è più né accettata, né accettabile: va eliminata, rimossa nelle sue cause e nelle sue conseguenze, scavalcata con la truffa e con il doping". [2]

"La forza dello sport è cadere e rialzarsi e sfidare di nuovo chi ti ha battuto e dimostrare di poterlo battere a tua volta. Gli allenatori sanno che è attraverso le sconfitte che si seleziona la strategia della vittoria. Soprattutto conoscono un principio fondamentale nel mestiere dell’allenatore: che la vittoria non è il vero fine della preparazione di un atleta o di una squadra, ma è semplicemente la conseguenza del buon lavoro che è stato fatto su quell’atleta e su quella squadra". [1]

"S’impone una cultura della sconfitta che permetta di affrontare una questione fondamentale per chi si avvicina alla pratica motoria e sportiva: il desiderio della realizzazione di sé, investendo energie e tempo, sopportando fatiche e rinunce per un obiettivo sportivo, è un impegno che si scontra con la durezza della sconfitta, il dolore di un infortunio, la percezione del limite, l’evidenza della superiorità di un avversario". [2]

La definizione di successo per John Wooden: "Pace dello spirito raggiunta solo grazie alla propria soddisfazione nel sapere di esserti sforzato di fare il meglio di cui sei capace.

Non smettere mai di cercare di essere il meglio che puoi, questo si può controllare. Se ti lasci assorbire, coinvolgere, preoccupare troppo dalle cose su cui non hai controllo, ciò influenzerà in modo negativo le cose su cui hai controllo.

Se ti sforzi di fare il meglio di cui sei capace, cercando di migliorare la situazione in cui ti trovi, penso che quello sia il successo. E non penso che gli altri lo possano giudicare. Credo sia come il carattere e la reputazione. La tua reputazione è come tu sei percepito; il tuo carattere è ciò che tu sei realmente. E penso che il carattere sia molto più importante di come tu sei percepito. Spereresti che entrambi siano buoni. Ma non saranno necessariamente uguali". [3]

"Dunque il vero obbiettivo dello sport è raggiungere l’eccellenza, ottenere dall’atleta ma soprattutto dall’uomo la sua migliore performance, nell’equilibrato perfezionamento delle sue doti atletiche ma anche psicologiche, emotive, esistenziali. Se si guarda all’eccellenza più che al risultato immediato, si ottengono vittorie più durature nel tempo e di qualità sempre superiore".  [1]

Mai accennato a vincere dice John Wooden e aggiunge: " La mia idea è che si può perdere anche quando abbiamo battuto qualcuno in una partita. E si può vincere anche quando si è battuti. Ho avuto questa sensazione in alcune occasioni, varie volte. E volevo solo che fossero capaci di tenere alta la testa dopo una partita. Ero solito dire che quando alla fine di una partita vedevi qualcuno che non conosceva il risultato, se si era battuto l'avversario o si era stati battuti. Questo è ciò che conta realmente: se ti sforzi di fare il meglio che puoi con regolarità i risultati saranno più o meno quelli che dovrebbero essere. Non necessariamente quelli che si desiderano, ma più o meno quelli che dovrebbero essere, e solo tu saprai se lo puoi fare.
Volevo che il punteggio di una partita fosse l'effetto secondario di queste altre cose e non lo scopo in sé. Cervantes disse "Il viaggio è meglio della meta."  Talvolta quando ci arrivi, c'è quasi una delusione. Ma il divertimento è arrivarci. Si tratta di condurre i giocatori a quella soddisfazione personale nel sapere che si sono sforzati di fare il meglio di cui sono capaci". [3]

"Esaltare il valore dell’avversario, riconoscerne qualità e meriti, apprezzarne la bellezza e l’efficacia del gesto, la tenacia e la virtù, è il primo, seppur difficile, itinerario da percorrere. Un maestro in questo senso e nel saper comprendere e far comprendere ai suoi giocatori “il bello della sconfitta”, come lui stesso la definisce, è Enzo Bearzot. “Il bello della sconfitta – ha spiegato – sta innanzitutto nel saperla accettare. Non sempre è la conseguenza di un demerito. A volte sono stati più bravi gli altri. Più sei disposto a riconoscerlo, quando è vero, quando non stai cercando di costruirti un alibi, più aumentano le possibilità di superarla. Anche di ribaltarla. La sconfitta va vissuta come una pedana di lancio: è così nella vita di tutti i giorni, così deve essere nello sport. Sbaglia chi la interpreta come uno stop nella corsa verso il traguardo: bisogna sforzarsi di trasformarla in un riaccumulo di energie, prima psichiche, nervose, e poi fisiche.

Quando Lacombe segnò il gol della Francia esattamente 32 secondi dopo il fischio d’inizio del mondiale d’Argentina, Bearzot si alzò in piedi ad applaudire quell’azione da manuale, tutta di prima. In un altro passaggio significativo racconta la sua esperienza diretta: “Nel calcio ogni sconfitta è utile, a patto di saperla leggere. Nel mio incarico azzurro, a ciascuna è sempre seguita un’analisi approfondita. E all’analisi la sintesi. Di riflesso vedevo nascere nei giocatori un processo di autocritica, individuale e poi collettiva. Il passaggio successivo, fondamentale, era quello dall’autocritica alla solidarietà. Che era poi l’anticamera alla voglia di rifarsi, il bisogno di ripartire per cancellare la negatività e, con essa, la sofferenza. Così, quand’era ora di ricominciare, ciascuno si riprendeva le proprie responsabilità di prima: ma arricchite da quell’esperienza di sofferenza superata.

Beppe Bergomi ha dichiarato: “I nemici del calcio sono tanti: il male peggiore, il più pericoloso, è la mancanza di una cultura della sconfitta. Il mondo orbitante attorno al calcio rischia di soffocare questo gioco. Si passa con estrema facilità dall’esaltazione alla critica spietata: i toni sono troppo esasperati.” [2]

"  
La paura dietro i tuoi occhi inespressivi, dietro gli occhi inespressivi dell’altro. Saltare, colpire, cercare di schivare, prenderle, darle, braccia che non riesci a tenere in guardia, per la stanchezza, respirare con la bocca, pregare che finisca perché non ce la fai più, voler colpire e non riuscirci, pensare che non t’importa più di vincere o perdere purché finisca, pensare che hai voglia di buttarti a terra e non lo fai e non sai perché e che cosa ti tiene ancora in piedi e poi suona la campana e pensare che hai perso e non te ne importa e poi l’arbitro alza il tuo braccio e capisci che hai vinto e non esiste nient’altro in quel momento, niente altro che quel momento. 
                                                "    [4]   ... segue
fonti:
[1] -Valerio Bianchini - La vittoria e la sconfitta: due impostori
[2] -Paolo Crepaz - Una cultura della sconfitta, per una nuova cultura della vittoria
che ha tratto parte del suo articolo da  Giuseppe Sorgi - Ripensare lo sport. Per una filosofia del fenomeno sportivo
[3] -John Wooden - sulla differenza tra vittoria e successo
[4] - Gianrico Carofiglio - Non è poi così brutto andare knockout

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