"Lo sport muove enormi cifre di denaro, mette in moto enormi interessi e genera conseguenze non certo irrilevanti: la spettacolarizzazione esasperata e il ricorso al doping ne sono una testimonianza". [2]
"Ma
è quella ottenuta con l’inganno la vera vittoria? O non è anch’essa
un’illusione destinata a lasciare solo frustrazione e senso
d’impotenza? Il male maggiore, il grande nemico dello sport, è oggi
l’esasperazione della dimensione competitiva. Il peso di cui si è
caricata la vittoria, e quindi la sconfitta, in termini d’immagine e di
denaro, è divenuto sempre maggiore". [1]
"Del
resto il messaggio della vittoria ad ogni costo è vivo ad ogni livello,
perché presente nella società prima ancora che nello sport. I bambini
lo recepiscono sin dalla tenera età, bombardati da personaggi presentati
loro dai media come sempre vincenti. Una volta creato il mito, l’idolo,
la corsa all’egocentrismo, all’affermazione incontrollata di sé, è
aperta, sin dall’infanzia. Se poi questo mito è sportivo, l’interesse
rischia di riassumersi tutto esclusivamente in un interesse per la
vittoria, anziché primariamente per la pratica sportiva, creando o un
pericoloso disadattamento o un abbandono precoce". [2]
"Se
la vittoria è l’unica ragione di esistere per lo sport bisogna essere
pronti a sacrificare per essa qualsiasi cosa. Dunque non solo la
giovinezza di un ragazzo, le sue amicizie, il suo tempo libero, i suoi
sogni, ma anche la sua salute morale e la sua salute fisica, giungendo
al paradosso di nuocere al corpo attraverso uno strumento, lo sport,
deputato a migliorare il corpo dell’atleta". [1]
Alla
cultura della vittoria così esasperata si associa il rifiuto verso i
propri limiti fisici visti come ostacolo al raggiungimento degli
obiettivi prefissati. "La mancanza di una cultura del limite,
l’imperativo del “no –limits” così diffuso, fa sì che l’attività
sportiva imponga la sottomissione del corpo al diktat della
prestazione, all’imperativo del rendimento e dell’efficacia
quantitativamente misurabili, realizzando l’unico obiettivo oggi
perseguibile: vincere, un obiettivo che, lo si può constatare, si
trasferisce dal mondo dello sport alla realtà quotidiana con
l’imposizione ad essere vincente in qualunque situazione come habitus
indispensabile in una realtà sociale segnata dal raggiungimento della
“prestazione”.
"Lo
sport perde la sua prerogativa di terreno in cui la sconfitta è
accettabile, in cui l’insicurezza, la paura di perdere, insita in ogni
essere umano, è affrontata in ambiente protetto. La sconfitta non è più
né accettata, né accettabile: va eliminata, rimossa nelle sue cause e
nelle sue conseguenze, scavalcata con la truffa e con il doping". [2]
"La
forza dello sport è cadere e rialzarsi e sfidare di nuovo chi ti ha
battuto e dimostrare di poterlo battere a tua volta. Gli allenatori
sanno che è attraverso le sconfitte che si seleziona la strategia della
vittoria. Soprattutto conoscono un principio fondamentale nel mestiere
dell’allenatore: che la vittoria non è il vero fine della preparazione
di un atleta o di una squadra, ma è semplicemente la conseguenza del
buon lavoro che è stato fatto su quell’atleta e su quella squadra". [1]
"S’impone
una cultura della sconfitta che permetta di affrontare una questione
fondamentale per chi si avvicina alla pratica motoria e sportiva: il
desiderio della realizzazione di sé, investendo energie e tempo,
sopportando fatiche e rinunce per un obiettivo sportivo, è un impegno
che si scontra con la durezza della sconfitta, il dolore di un
infortunio, la percezione del limite, l’evidenza della superiorità di un
avversario". [2]
La definizione di successo per John Wooden: "Pace
dello spirito raggiunta solo grazie alla propria soddisfazione nel
sapere di esserti sforzato di fare il meglio di cui sei capace.
Non
smettere mai di cercare di essere il meglio che puoi, questo si può
controllare. Se ti lasci assorbire, coinvolgere, preoccupare troppo
dalle cose su cui non hai controllo, ciò influenzerà in modo negativo le
cose su cui hai controllo.
Se
ti sforzi di fare il meglio di cui sei capace, cercando di migliorare
la situazione in cui ti trovi, penso che quello sia il successo. E non
penso che gli altri lo possano giudicare. Credo sia come il carattere e
la reputazione. La tua reputazione è come tu sei percepito; il tuo
carattere è ciò che tu sei realmente. E penso che il carattere sia molto
più importante di come tu sei percepito. Spereresti che entrambi siano
buoni. Ma non saranno necessariamente uguali". [3]
"Dunque
il vero obbiettivo dello sport è raggiungere l’eccellenza, ottenere
dall’atleta ma soprattutto dall’uomo la sua migliore performance,
nell’equilibrato perfezionamento delle sue doti atletiche ma anche
psicologiche, emotive, esistenziali. Se si guarda all’eccellenza più che
al risultato immediato, si ottengono vittorie più durature nel tempo e
di qualità sempre superiore". [1]
Mai
accennato a vincere dice John Wooden e aggiunge: " La mia idea è che si
può perdere anche quando abbiamo battuto qualcuno in una partita. E si
può vincere anche quando si è battuti. Ho avuto questa sensazione in
alcune occasioni, varie volte. E volevo solo che fossero capaci di
tenere alta la testa dopo una partita. Ero solito dire che quando alla
fine di una partita vedevi qualcuno che non conosceva il risultato, se
si era battuto l'avversario o si era stati battuti. Questo è ciò che
conta realmente: se ti sforzi di fare il meglio che puoi con regolarità i
risultati saranno più o meno quelli che dovrebbero essere. Non
necessariamente quelli che si desiderano, ma più o meno quelli che
dovrebbero essere, e solo tu saprai se lo puoi fare.
Volevo
che il punteggio di una partita fosse l'effetto secondario di queste
altre cose e non lo scopo in sé. Cervantes disse "Il viaggio è meglio
della meta." Talvolta quando ci
arrivi, c'è quasi una delusione. Ma il divertimento è arrivarci. Si
tratta di condurre i giocatori a quella soddisfazione personale nel
sapere che si sono sforzati di fare il meglio di cui sono capaci". [3]
"Esaltare
il valore dell’avversario, riconoscerne qualità e meriti, apprezzarne
la bellezza e l’efficacia del gesto, la tenacia e la virtù, è il primo,
seppur difficile, itinerario da percorrere. Un maestro in questo senso e
nel saper comprendere e far comprendere ai suoi giocatori “il bello
della sconfitta”, come lui stesso la definisce, è Enzo Bearzot. “Il
bello della sconfitta – ha spiegato – sta innanzitutto nel saperla
accettare. Non sempre è la conseguenza di un demerito. A volte sono
stati più bravi gli altri. Più sei disposto a riconoscerlo, quando è
vero, quando non stai cercando di costruirti un alibi, più aumentano le
possibilità di superarla. Anche di ribaltarla. La sconfitta va vissuta
come una pedana di lancio: è così nella vita di tutti i giorni, così
deve essere nello sport. Sbaglia chi la interpreta come uno stop nella
corsa verso il traguardo: bisogna sforzarsi di trasformarla in un
riaccumulo di energie, prima psichiche, nervose, e poi fisiche.
Quando
Lacombe segnò il gol della Francia esattamente 32 secondi dopo il
fischio d’inizio del mondiale d’Argentina, Bearzot si alzò in piedi ad
applaudire quell’azione da manuale, tutta di prima. In un altro
passaggio significativo racconta la sua esperienza diretta: “Nel calcio
ogni sconfitta è utile, a patto di saperla leggere. Nel mio incarico
azzurro, a ciascuna è sempre seguita un’analisi approfondita. E
all’analisi la sintesi. Di riflesso vedevo nascere nei giocatori un
processo di autocritica, individuale e poi collettiva. Il passaggio
successivo, fondamentale, era quello dall’autocritica alla solidarietà.
Che era poi l’anticamera alla voglia di rifarsi, il bisogno di ripartire
per cancellare la negatività e, con essa, la sofferenza. Così,
quand’era ora di ricominciare, ciascuno si riprendeva le proprie
responsabilità di prima: ma arricchite da quell’esperienza di sofferenza
superata.
Beppe
Bergomi ha dichiarato: “I nemici del calcio sono tanti: il male
peggiore, il più pericoloso, è la mancanza di una cultura della
sconfitta. Il mondo orbitante attorno al calcio rischia di soffocare
questo gioco. Si passa con estrema facilità dall’esaltazione alla critica spietata: i toni sono troppo esasperati.” [2]
"
La paura dietro i tuoi occhi inespressivi, dietro gli occhi inespressivi dell’altro. Saltare, colpire, cercare di schivare, prenderle, darle, braccia che non riesci a tenere in guardia, per la stanchezza, respirare con la bocca, pregare che finisca perché non ce la fai più, voler colpire e non riuscirci, pensare che non t’importa più di vincere o perdere purché finisca, pensare che hai voglia di buttarti a terra e non lo fai e non sai perché e che cosa ti tiene ancora in piedi e poi suona la campana e pensare che hai perso e non te ne importa e poi l’arbitro alza il tuo braccio e capisci che hai vinto e non esiste nient’altro in quel momento, niente altro che quel momento.
" [4] ... segue
La paura dietro i tuoi occhi inespressivi, dietro gli occhi inespressivi dell’altro. Saltare, colpire, cercare di schivare, prenderle, darle, braccia che non riesci a tenere in guardia, per la stanchezza, respirare con la bocca, pregare che finisca perché non ce la fai più, voler colpire e non riuscirci, pensare che non t’importa più di vincere o perdere purché finisca, pensare che hai voglia di buttarti a terra e non lo fai e non sai perché e che cosa ti tiene ancora in piedi e poi suona la campana e pensare che hai perso e non te ne importa e poi l’arbitro alza il tuo braccio e capisci che hai vinto e non esiste nient’altro in quel momento, niente altro che quel momento.
" [4] ... segue
fonti:
[1] -Valerio Bianchini - La vittoria e la sconfitta: due impostori
[2] -Paolo Crepaz - Una cultura della sconfitta, per una nuova cultura della vittoria
che ha tratto parte del suo articolo da Giuseppe Sorgi - Ripensare lo sport. Per una filosofia del fenomeno sportivo
[3] -John Wooden - sulla differenza tra vittoria e successo
che ha tratto parte del suo articolo da Giuseppe Sorgi - Ripensare lo sport. Per una filosofia del fenomeno sportivo
[3] -John Wooden - sulla differenza tra vittoria e successo
[4] - Gianrico Carofiglio - Non è poi così brutto andare knockout
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