lunedì 8 agosto 2016

Per una storia delle arti marziali


"La storia delle arti da combattimento ha sempre avuto due facce: quella militare e quella sportiva, retaggio delle due attività da cui queste discipline derivano. Le arti marziali nascono infatti da due attività fondamentali sin dalle prime orde umane: la caccia e la difesa del territorio.

La prima ha a che fare con il rapporto dell’uomo con l’ambiente, mentre la seconda riguarda i rapporti tra gli uomini. In entrambi i casi, privo di armi naturali obiettivamente pericolose, l’uomo dovette ricorrere allo sviluppo tecnologico per la sopravvivenza.

L’episodio che ha probabilmente più contribuito allo sviluppo delle tecniche marziali è stato lo scontro tra l’homo sapiens sapiens proveniente dall’Africa e l’homo sapiens neandertalensis, che sopravviveva in Europa. Quest’ultimo, assai più massiccio e muscoloso, aveva senz’altro la meglio nello scontro ravvicinato con il suo cugino più recente. La sopravvivenza della specie umana dovette dipendere anche in quel caso dalla produzione di nuove tecniche (nuove armi, nuove tattiche) volte a supplire alle carenze fisiche del corpo umano.

Fino alla nascita dello Stato, ovvero sino a poche migliaia di anni fa, la guerra rimase un’attività collettiva, condotta da tutti al pari di ogni altra attività della tribù. Tuttavia, gli scontri tra le tribù o i regolamenti di conti all’interno dei clan gentilizi costituivano un peso notevole per una popolazione numericamente esigua e con una mortalità elevata. Per questo, si svilupparono metodi per risolvere le controversie senza esiti mortali. Le arti marziali  vennero create a questo scopo. Si trattava di combattimenti (per lo più a mani nude) piuttosto violenti, ma comunque “controllati”, proprio come gli scontri tra gli adulti di molte altre specie di mammiferi. Attorno a questi combattimenti ritualizzati si raccoglieva tutta la tribù. Si trattò della prima forma di disciplina marziale sportiva, dove la lotta non era mortale e il divertimento assicurato.

Il salto di qualità delle arti marziali venne con la nascita dello Stato. Per la prima volta nella storia umana, si sviluppò un apparato militare permanente e separato dalla popolazione. Il diritto di proprietà individuale, che privava una quota crescente della popolazione dei mezzi di sussistenza (ai tempi, essenzialmente la terra) spingendola verso la schiavitù, doveva essere garantito con le armi. Occorreva difendere la proprietà dai nemici esterni (difesa del territorio statale) e interni (gli oppressi). Per questo la nascita dello Stato comportava l’esclusivo diritto alla violenza da parte dell’esercito, a difesa dei rapporti di proprietà dominanti. 

La nascita delle classi e dello Stato, relegando la donna alla produzione e conservazione di bambini, comportò anche l’eliminazione dello sport femminile e dunque della pratica delle arti marziali da parte delle donne. Nelle società gentilizie le donne lottavano come gli uomini. Lo si vede nei racconti degli occidentali sugli abitanti della Polinesia, delle Hawai e degli indiani americani. Gli esploratori erano sorpresi dalla ferocia dei combattimenti femminili, in cui era permessa ogni cosa. Ma erano altrettanto sorpresi dal fatto che, finito il duello, le ragazze si abbracciassero e tornassero le amiche di sempre. Questo era il modello di tutti i combattimenti tribali. Essendo la società tribale priva di discriminazione sessuale, le dispute riguardavano parimenti uomini e donne. Quando il potere e la proprietà divennero esclusive dei maschi ricchi, alle donne fu concesso tutto al più di assistere ai combattimenti maschili.

Se per gli eserciti contavano molto di più la tecnologia delle armi, la perizia tattica dei comandanti e la motivazione degli uomini, l’arte del combattimento si andò affinando in ambito sportivo. Il pugilato, la lotta libera (pancrazio) erano attività popolari nella Grecia classica e fecero parte delle Olimpiadi sin dall’inizio. Dai racconti degli storici greci possiamo dedurre che con il pancrazio, dove era ammesso ogni tipo di colpo, i Greci avessero raggiunto un livello tecnico eccellente. Probabilmente, i lottatori delle discipline più estreme di oggi (dal “vale tudo” al sambo) avrebbero poco da insegnare ai lottatori della Grecia classica, in termini di tecnica, astuzia, ferocia, e probabilmente persino nelle tecniche di allenamento. La trasposizione romana del pancrazio alterò lo spirito originale della disciplina, riducendola a pura brutalità. Vennero introdotti i cesti (una sorta di guanti fatti di lacci di cuoio con borchie in metallo) che procuravano ferite gravi, trasformando l’arte della lotta in uno spettacolo gladiatorio. D’altronde Roma divenne famosa proprio per questi spettacoli, in cui centinaia di schiavi, spesso prigionieri di guerra o rivoltosi, venivano fatti combattere l’uno contro l’altro o contro animali feroci.

Lo sport del combattimento venne coltivato durante il medioevo soprattutto dai cavalieri, che quando non combattevano per lavoro combattevano per diletto, nelle “giostre”. In quell’epoca, lo sviluppo di tecniche sofisticate nel combattimento corpo a corpo divenne una questione di vita o di morte, anche perché la tecnologia medievale non consentiva una superiorità schiacciante da parte della violenza legale (lo Stato) su quella illegale (le rivolte contadine).

Analogamente ai cavalieri occidentali, caste di combattenti si svilupparono in ogni regione in cui prevalsero rapporti di produzione analoghi (Giappone, Cina, sud est asiatico, ecc.), con un’ideologia simile (il codice d’onore dei cavalieri occidentali e dei samurai è praticamente lo stesso). La differenza venne dal ritmo di sviluppo impresso dal capitalismo all’occidente. La crescita delle forze produttive portò allo sviluppo di nuove tecnologie (soprattutto la polvere da sparo e poi armi da fuoco sempre più affidabili) che ridussero via via il ruolo della tecnica individuale. Proprio come gli artigiani vennero distrutti dalle fabbriche della rivoluzione industriale, i cavalieri vennero schiacciati dall’artiglieria. Una combinazione di eventi storici tenne l’Asia lontano da questi sviluppi tecnologici.

Ancora nell’Ottocento, quando in Europa la guerra si basava su moltitudini di uomini armati di fucili e cannoni, e, per mare, sulle cannoniere, in Giappone i samurai reprimevano i contadini a colpi di katana. Quando gli eserciti e le navi europee arrivarono a contatto con queste civiltà, ne trassero sempre le stesse impressioni: si trattava di uomini di coraggio e perizia immensi che però nulla potevano di fronte alla superiore tecnica e tattica degli invasori. Seppure con qualche episodio eroico di resistenza, i popoli di tutto il mondo, dagli indios latinoamericani ai filippini, dagli africani alle tribù di indiani del Nordamerica, per finire con gli imperi cinese e indiano, vennero piegati alle esigenze mercantili dell’imperialismo europeo.

Con l’avvento della produzione in serie delle armi da fuoco, il combattimento ravvicinato cessò di avere un interesse per gli eserciti. Se si escludono alcuni corpi speciali, commandos, agenti segreti ecc., ai quali è necessario avere cognizioni di combattimento corpo a corpo, i soldati degli ultimi due secoli possono tranquillamente ignorare qualunque arte marziale.

Diversa è invece la situazione delle arti marziali sportive. Le giostre medievali non ci sono più, il Colosseo è solo un’attrazione per turisti, ma la lotta per divertimento non ha cessato di interessare l’uomo, anche durante la rivoluzione industriale. Lotta e pugilato hanno da sempre costituito i passatempi preferiti di contadini e operai di tutto il mondo. Già nel duecento, in paesi europei quali la Svizzera, i contadini e i montanari risolvevano le loro dispute con la lotta corpo a corpo.

Nel XVI secolo, nelle Hawai, la classe operaia praticava tre sport tradizionali: lotta libera, pugilato e bastone singolo. Nel XVIII secolo, mentre nel Siam la muay thai veniva utilizzata nei combattimenti tra villaggi, in Russia gli operai si trovavano dopo la funzione domenicale per incontri di lotta che ovviamente non avvenivano secondo le regole moderne ma erano piuttosto scontri dove tutto era possibile e finivano con lesioni permamenti o anche decessi. Una situazione analoga la si ritrova in tutta Europa, e negli Stati Uniti ma solo apartire dal XIX.

La storia ci fornisce dunque tre fonti e tre parti integranti del combattimento corpo a corpo. Ci sono quelle che vengono definite arti marziali, gli sport da combattimento e le tecniche di combattimento militare.

a) Arti marziali

Le arti marziali che conosciamo oggi hanno un’origine varia. Alcune sono attività sportive di origine militare (il judo, il jiu-jitsu e il sambo), altre derivano da tecniche elaborate nel corso di una lotta contro un’occupazione militare (il karate e il kobudo di Okinawa, le arti marziali filippine, il silat indonesiano); altre, venivano coltivate in seno a clan di origine gentilizia e sono giunte a noi per vicende storiche di varia natura (le arti marziali cinesi, il kali filippino, alcune forme di lotta del Caucaso); altre, infine, sono una derivazione dalle prime categorie (le arti marziali coreane e vietnamite).

Occorre tenere conto che sebbene molte arti marziali pretendano di essere la tecnica “originale”, tramandata immutata da generazioni sin dall’antichità, si tratta di trovate commerciali, senza basi scientifiche. La storia del tempio di Shaolin culla delle arti marziali cinesi non è più realistica di quella che vuole Roma fondata da gemelli allattati da una lupa o delle dodici fatiche di Ercole. Spesso, spiegazioni di fantasia coprono più prosaiche e inconfessabili realtà.


b) Sport da combattimento

Quello più famoso rimane il pugilato inglese, le cui regole hanno condizionato la traiettoria seguita dalle altri discipline. Ad esempio, l’introduzione delle categorie di peso, che venne mutuata dagli handicap delle corse dei cavalli per rendere più realistiche le scommesse, venne poi estesa a ogni tipo di lotta.

 Peraltro, il marchese di Queensberry non fu il primo ad “ammorbidire” le regole. Per esempio, nel 1877 a Bruxelles, Joseph Charlemont introdusse nuove regole nella savate. Esse proibivano di tenere l’avversario mentre lo si colpiva, i colpi di gomito, di ginocchio e di testa, i colpi all’inguine ecc. L’origine storica degli sport da combattimento è più omogenea di quella delle arti marziali. Si tratta di discipline diffuse da secoli tra le classi povere, che sono state rese “civili”.

Come il fioretto venne inventato per evitare troppo spargimento di sangue nella scherma, i guantoni della boxe inglese o tailandese servirono allo scopo di ridurre la frequenza dei decessi nei combattimenti. Gli sport, siano essi occidentali, come il pugilato, la lotta libera, la savate e la scherma, o orientali, come la muay thai, sono ormai praticati a livello mondiale.

Tecnicamente parlando, non c’è alcuna distinzione tra sport da combattimento e arti marziali. Di solito, per arte marziale si intende qualcosa di più esoterico, con il classico corredo di nomi incomprensibili, mosse segrete, maestri da rispettare e cose del genere. Inoltre, di solito le arti marziali sono “orientali” e gli sport “occidentali”. Ma storicamente parlando questa distinzione non ha senso.

c) Le tecniche militari

Sin dalla seconda guerra mondiale, con la nascita di reparti speciali, gli eserciti occidentali cominciarono ad introdurre tecniche di combattimento ravvicinato nei propri ranghi. Iniziò l’esercito inglese, introducendo l’insegnamento del combattimento corpo a corpo ai commandos (i primi istruttori, Fairbarn e Sykes, avevano appreso le tecniche come poliziotti di Shangai). 

Al giorno d’oggi in tutti i reparti speciali, civili e militari, si insegnano tecniche di combattimento senza armi o con armi da taglio, bastoni ecc., che fondono di solito tecniche di diversa provenienza. Le uniche discipline organiche sviluppate per questa via sono il sambo russo e il krav magà israeliano".



fonte - http://www.homolaicus.com/storia/trasversale/arti_marziali.htm

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